Nella silenziosa e nebbiosa pianura della Lomellina, in provincia di Pavia, sorge una sagoma maestosa e malinconica: Villa Cerri. Il nome popolare che la identifica, la “Villa degli Amanti Maledetti”, è una lapide sonora che riecheggia la tragedia, il mistero e la passione proibita.

L’edificio, sebbene gravato da un’aura di antichità, è in realtà un gioiello, un sogno architettonico sorto tra la fine degli anni Venti e il 1931 per volontà di Pietro Cerri, un facoltoso imprenditore e padrone terriero. Cerri volle imprimere alla sua dimora un’impronta distintiva, scegliendo un raffinato stile eclettico tendente al Liberty (Art Nouveau).

Le sue facciate, un tempo luminose e riccamente decorate, rivelavano l’opulenza della ricca borghesia dell’epoca. Il profilo era dominato da una snella torretta, che si innalzava come un dito puntato verso il cielo, luogo che, nella leggenda, sarebbe poi divenuto il segreto palcoscenico della passione e della morte.

Non erano solo le linee architettoniche a rendere la villa un polo di attrazione; era la vita stessa del suo padrone a tessere l’arazzo delle dicerie. Pietro Cerri era un uomo di potere e di ricchezze, ma la sua esistenza era intorbidita da una vita sentimentale turbolenta.

I suoi matrimoni e le sue relazioni erano materia viva per i pettegolezzi che fiorivano nei salotti della zona. Erano questi sussurri – la fama di passioni complesse e di possibili infedeltà – a creare il terreno fertile, quasi preordinato, perché la villa non fosse vista semplicemente come una dimora, ma come un scrigno di segreti. Fu questo alone di “passione proibita” a fondersi, poi, con la tragedia reale, consacrando la Villa Cerri alla leggenda eterna di amori maledetti e spiriti inquieti.

Il nome funesto della Villa è indissolubilmente legato a un tragico fatto di sangue che la leggenda popolare tramanda come una triplice esecuzione per gelosia, avvenuta nel cuore della residenza.

Si narra che un giorno imprecisato, il proprietario della villa fece ritorno a casa inaspettatamente. Mosso da un oscuro presentimento, si diresse verso il simbolo stesso della segretezza della dimora: la torretta. Fu lì che si consumò la scoperta più devastante: sorprese la moglie (o, in altre versioni, l’amante) con il suo stalliere o un servo, in un atto di infedeltà.

Accecato da una furia cieca e inarrestabile, l’uomo agì con brutalità. Afferrò un’arma – spesso identificata come un fucile da caccia – e con essa pose fine alla vita dei due amanti. Dopo aver compiuto la sua vendetta, in un gesto di disperazione finale, rivolse l’arma contro sé stesso, consumando un triplice omicidio-suicidio che macchiò per sempre l’anima della casa.

Da quella notte, la villa cadde sotto il peso di una maledizione perpetua. Si dice che gli spiriti dei due amanti non abbiano mai trovato riposo. Nelle notti di vento, i visitatori e gli abitanti dei dintorni giurano di udire il pianto disperato della donna, un lamento incessante che sarebbe la manifestazione della sua pena per l’amante ucciso o la sua eterna ricerca del corpo perduto.

L’architettura suggestiva della villa, in particolare la sua solitaria torretta, è divenuta la cornice perfetta e spettrale di questa storia, cementando per sempre il mito degli “Amanti Maledetti”.

Se la leggenda popolare ha creato un fantasma romantico, la storia vera della Villa Cerri è macchiata da una serie di fatti drammatici e provati che ne hanno sigillato il destino, trasformando la diceria in un destino ineluttabile.

L’ombra più concreta sulla villa si allungò nella notte del 29 luglio 1935. In quella data, il proprietario, Pietro Cerri, fu vittima di un’aggressione brutale all’interno della sua stessa dimora.

Nonostante le gravi ferite, Cerri trovò la forza disperata di uscire dalla casa maledetta e, in un tentativo estremo di salvezza, percorse alcune decine di metri lungo la strada. Il suo sforzo fu vano; si accasciò poco dopo e morì in ospedale a Pavia.

Ufficialmente, la morte fu attribuita a rapinatori (la “pista del furto finito male”). Tuttavia, le indagini furono complesse e si mescolarono immediatamente a voci non confermate che vedevano dietro l’aggressione un movente ben più oscuro: un regolamento di conti legato a questioni amorose o finanziarie. Fu questo alone di mistero, l’omicidio di un uomo ricco e controverso, a proiettare sulla villa un marchio di sventura indissolubile.

L’edificio non trovò mai pace. Anni dopo, nel secondo dopoguerra, una nuova famiglia di Milano tentò di riportare la vita nella residenza. Ma la Villa era ormai avvinghiata al suo destino funesto. Il figlio dei nuovi proprietari trovò tragicamente la morte in un incidente d’auto avvenuto a pochissima distanza dal vialetto d’ingresso.

Dopo queste sventure, l’aura di luogo maledetto divenne inoppugnabile. La villa, pur cambiando di mano (passando anche a figure note come Francesco Sempio, fondatore di Curtiriso), venne progressivamente abbandonata per decenni.

Lo stato attuale della villa è dominato da un’atmosfera di decadenza romanzata e di silenzio assoluto.
Il giardino, un tempo testimone di sfarzo e teatro di incontri segreti, è stato completamente riconquistato dalla natura selvaggia.
Il lungo viale d’accesso è oggi un sentiero quasi impenetrabile, soffocato da erbacce, arbusti e giovani alberi che ostacolano persino il semplice avvicinamento. L’intera proprietà è avvolta in un fitto manto vegetale. Alberi, edera e piante rampicanti non si limitano a coprire le facciate, ma si insinuano con tenacia nelle crepe dei muri e nei telai delle finestre, contribuendo attivamente alla rovina strutturale.

All’interno, l’abbandono è totale e la memoria materiale è stata quasi completamente cancellata.

Non rimane alcun mobile, letto, o oggetto personale che possa testimoniare la vita della famiglia Cerri o dei successivi sfortunati proprietari.

Tuttavia, in un gesto di sfida al tempo e al saccheggio, rimane un unico, significativo frammento del passato: sopra lo scheletro di un camino, resiste un affresco sbiadito che raffigura i vasti possedimenti terrieri del proprietario originale. Questo è l’unico, muto testimone della grandezza e del potere che un tempo risiedevano in queste mura.

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