Il manicomio di V. era una quasi città destinata al ricovero dei malati mentali.

La sua nascita risale al 1887, ma solo nel 1896 si ebbe un vero progetto per la creazione dell’ospedale psichiatrico.

Il primo padiglione fu costruito tra il 1896 e il 1897 con una capienza superiore a 200 persone.

Il manicomio di V. comincia così la sua storia nei primi mesi del 900 con a capo l’illustre psichiatra L.S.

Il bravo direttore non perse tempo e già 2 anni dopo, furono trasferiti al manicomio di V. malati dal nord Italia con un treno speciale, e ovviamente anche buona parte dei malati delle città vicine.

Aumentava così il numero di malati, e il numero dei pazienti passò dai 150 del 1900 alle 750 del 1910, per arrivare alle 2621 nel 1930 e al loro massimo di 4794 nel 1939.

Tutto questo rese necessario costruire nuovi padiglioni, che però dovevano essere tra loro non simmetrici in modo da far apparire tutto come un villaggio, e tutti furono collegati da strade interne.
I nuovi padiglioni del manicomio di V. furono chiamati con i nomi dei più importanti studiosi del tempo.

Questa struttura era davvero moderna per gli standard dell’epoca, e tra le varie costruzioni vantava di un acquedotto interno, corrente elettrica, fognature, rotaie e rubinetti.

Ma anche se apparentemente ben costruito, come abbiamo imparato dalla storia, non era certo un paradiso.

Il manicomio di V. è come se avesse due facce: da una parte il direttore L.S. contribuì a quella che venne chiamata la “terapia del lavoro”, ma dall’altra vigeva un forte regime gerarchico e un clima carcerario, ovviamente a sfavore dei pazienti.

La “terapia del lavoro” prevedeva lo svolgimento di attività lavorative come parte della terapia dei malati, in modo da poter poi essere poi reintegrati nella società una volta guariti o stabilizzati.

Questa pratica era anche affiancata alla pratica “no-restrainct“, con limitazione dei mezzi di contenzione fisica e senza recinzioni che separassero il malato dell’esterno del manicomio.

Insomma, una vero villaggio con una moneta (istituita negli anni 30), dove i malati lavoravano, venivano pagati e facevano acquisti presso l’ospedale psichiatrico.

Però all’interno al manicomi di V. non ci fu mai praticamente nessun rapporto umano tra lo staff tecnico e i pazienti, che subivano tutto quello che veniva ordinato loro.

I successori di L.S. seguirono le sue indicazioni e le sue procedure, anche se con molti problemi di gestione.

Fu chiuso in seguito alla Legge Basaglia negli anni ‘70, ora è in stato di abbandono.

Al suo interno, in alcune stanze il buio ti avvolge e ti stringe rendendo ancora più visibili tutte quelle sbarre alle finestre e alle porte.

Ci sono ancora testimonianze delle persone che ci hanno abitato, come i graffiti dell’artista NOF4 che racconta per metri sui muri esterni di un padiglione la sua storia e le violenze subite negli anni, con testi e disegni scavati nella pietra con la fibbia della sua divisa da malato mentale.

Se ami i manicomi abbandonati a questo link puoi vedere le mie esplorazioni.

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